Papà Cervi

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Per gli italiani e gli antifascisti che nel secondo dopoguerra l’hanno conosciuto o, semplicemente, hanno saputo di lui, Alcide era affettuosamente chiamato “Papà Cervi”. L’ uomo simbolo della Resistenza Italiana era prima di tutto un padre, che la avanzatissima età e il dolore non sono riusciti a piegare. Una vecchia quercia forte e Resistente che, con quel che gli era rimasto della famiglia, continuò a coltivare il seme della libertà.

La vicenda

“Maledetta la pietà, e maledetto chi dal cielo mi ha chiuso le orecchie e velati gli occhi, perchè io non capissi e restassi vivo al vostro posto!”

Con questa frase Papà Cervi ne “I miei sette figli” congeda dolorosamente i figli a distanza. Alcide condivide con loro i giorni in carcere, ma non la tragica sorte. La sua storia, che pure è indissolubilmente legata a tutto ciò che accaduto prima, inizia in qualche modo dopo l’eccidio, quando cessa di essere Alcide Cervi e diventa invece Papà Cervi.

All’età di 68 anni, l’anziano padre soffre i rigori della prigionia. Più di tutto patisce l’assenza di notizie dai figli, che non ha più visto tornare al carcere di San Tommaso dopo quel 28 dicembre. Sarà il bombardamento alleato di Reggio Emilia, il 9 gennaio 1944, a dargli la possibilità di fuga. Dalla prigione colpita dalle bombe, Alcide ripara a casa, dove ha una lunga convalescenza di 40 giorni. Un periodo nel quale la famiglia non vorrà gravare sulle sue condizioni, nascondendogli l’accaduto.

Mentre Casa Cervi lentamente si risolleva dalla tragedia, Papà Cervi matura la decisione di non abbandonare l’abitazione: le braccia per i 20 ettari sono poche, i segni dell’assalto ancora visibili, la memoria del dolore è cocente. Ma quella è la casa dei suoi sette figli “cresciuti con 40 anni di fatiche” e non la lascerà nonostante gli abbiano “mietuto una generazione”. Nemmeno quando i fascisti locali torneranno nell’autunno ’44 ad incendiare l’abitazione, e di li a poco anche Genoeffa lo lascerà.

E’ solo con i funerali dei 7 fratelli Cervi a Campegine, il 25 ottobre 1945, che fu per lui possibile mettere a definitivo riposo i resti dei figli, dopo che lo stesso bombardamento di gennaio ’44 ne aveva martoriato le tombe. Alcide è sul balcone del municipio di Campegine e pronuncerà la frase che ne segnerà tutta l’esistenza: “dopo un raccolto ne viene un altro”. In quell’istante nasce la personalità pubblica di Papà Cervi. Dapprima su scala locale, poi nelle celebrazioni italiane dell’immediato dopoguerra.

Ma ancor di più, è il suo costante presidio di Casa Cervi a plasmare l’immagine di Alcide come custode e simbolo di questa storia. E’ in questo spazio sospeso tra ambito domestico e luogo pubblico che si rivela anche la dimensione privata, del lutto personale e intimo messo a disposizione della memoria collettiva. Per 25 lunghi anni Papà Cervi è il volto incavato della Resistenza italiana, sempre disponibile a portare la sua presenza nelle celebrazioni in tutta Italia.

Il corpo di Alcide, che la avanzatissima età e il dolore non hanno ancora piegato, è un tutt’uno con gli oggetti della sua immagine: il cappello, sempre calzato a Casa Cervi, rispettosamente calato nei cerimonie ufficiali; le sette medaglie d’argento al valor militare, l’onorificenza postuma ai sette figli, esibite con sobrio orgoglio. La sua abitazione, del resto, è uno spazio aperto, costantemente visitato da gruppi organizzati, così come da un continuo pellegrinaggio privato, mano a mano che questa storia si diffonde.

La “vecchia quercia”, soprannome assegnatoli dall’oratoria antifascista, si spegne a 95 anni, il 27 marzo 1970. Le sue esequie a Reggio Emilia sono un evento nazionale di prima grandezza, oltre 200.000 persone affollano le strade e la piazza dell’ultimo saluto. Gli rendono omaggio tutte le grandi personalità della politica e delle istituzioni legate alla storia antifascista, così come testimonianze di cordoglio giungono da ogni parte d’Italia e del mondo, spesso da semplici cittadini che l’avevano conosciuto, un giorno, sotto il portico ai Campirossi.

Di lui e dei suoi sette figli trucidati hanno scritto, tra i tanti, Piero Calamandrei, Renato Nicolai, Luigi Einaudi, Arrigo Benedetti; ma a dirne la tempra sono le sue stesse parole, pronunciate dopo che gli fu consegnata una medaglia d’oro, realizzata dallo scultore Marino Mazzacurati, che da un lato reca l’effigie di Alcide e dall’altro un tronco di quercia tra i cui rami spezzati brillano le sette stelle dell’Orsa:

“Mi hanno sempre detto ‘tu sei una quercia che ha cresciuto sette rami, quelli sono stati falciati e la quercia non è morta. La figura è bella e qualche volta piango. Ma guardate il seme, perché la quercia morirà e non sarà buona nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l’ideale nella testa dell’uomo”, è il seme della libertà.

L’Istituto Cervi

L’Istituto Cervi di Gattatico dedicato a Papà Cervi, figura emblematica del dopoguerra italiano e testimone popolare della Resistenza, custodisce la memoria dei sette fratelli Cervi e del loro sacrificio. Raccogliendo lo straordinario patrimonio di valori rappresentato dalla figura di Alcide Cervi, insieme alla memoria dei suoi sette figli martiri dell’antifascismo, l’Istituto parte dalla esperienza della campagna emiliana per lavorare con coerenza e impegno per la salvaguardia dei valori alla base della Costituzione Repubblicana.

L’Istituto Alcide Cervi gestisce:

  • il MUSEO CERVI, cuore operativo delle proprie attività
  • la BIBLIOTECA ARCHIVIO EMILIO SERENI che ospita il patrimonio librario e documentario del grande studioso dell’agricoltura e l’Archivio storico nazionale dei movimenti contadini
  • le attività del PARCO AGROAMBIENTALE, un percorso guidato all’aperto sorto sulla terra dei Cervi, che illustra e valorizza le risorse naturali della media pianura padana e il rapporto fra uomo e paesaggio nella trasformazione agricola nelle campagne.

Fonti

www.istitutocervi.it
www.anpi.it

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